Lo Stile si fa Atto
Dal decennale studio che Carmelo Bene (1937-2002), la macchina attoriale per eccellenza, il filosofo e autore, il poeta e il dissacratore, dedicò a Lorenzino de’ Medici (1514-1548), figura controversa passata alla storia come Lorenzaccio, è emersa una delle dicotomie più interessanti, alla base di molte riflessioni che attraversano la storiografia e la psicologia, la giurisprudenza e le scienze sociali: la differenza tra atto e azione. Quello che Carmelo Bene è arrivato a definire è: il soggetto pensa (o è pensato, visto che siamo in balia di archetipi, come sosteneva Jung; soggetto nell’etimo subiectus, posto sotto…) a un’azione. La premedita, la organizza, la progetta. Al momento cruciale, però, l’atto pianificato diventa qualcosa a sé stante. Si estrania sia dal progetto (l’azione) che dall’ideatore (soggetto). Ecco perché, paradossalmente ma non troppo, nessuno è giudicabile per ciò che (si) commette e nessuno è autore di alcunché. Nell’atto, il soggetto svanisce, come spiegava anche Nietzsche con l’espressione “volontà di potenza”, che al di fuori dai fraintendimenti ideologici, altro non è che l’abbandono per arrivare ad una dimensione superiore di consapevolezza (ancora Jung), ad una evaporazione dell’Io.
Chiosava Carmelo Bene, provocatoriamente: non si devono creare capolavori ma essere dei capolavori!